Ci sono numeri che osservi. E poi ci sono numeri che ti osservano.
L’Aiq, ovvero l’Arbeidsinkomensquote, rientra in quest’ultima categoria. Questo indicatore, all’apparenza innocuo, traccia la quota di reddito che va ai lavoratori, invece che al capitale, nell’economia di mercato. Non è un hashtag di tendenza. Non aprirà il tuo prossimo keynote. Ma racconta una storia che ogni imprenditore, decisore politico e capitalista etico dovrebbe imparare a memoria.
Lascia che te la racconti.
Dal 81,4% al 69,9%: il lungo declino della voce del lavoro
Nel 1995, i lavoratori olandesi, dipendenti e autonomi, portavano a casa l’81,4% di tutto il reddito guadagnato nel settore di mercato. Cioè: per ogni euro prodotto dall’economia produttiva (escludendo governo, immobiliare, estrattivo, finanza, ecc.), più di otto decimi finivano nelle mani di chi metteva impegno umano.
Nel 2024, questa cifra è scesa al 69,9%.
Non è una fluttuazione. È una riconfigurazione del patto sociale.
Immagina un tavolo dove dieci persone preparano un banchetto insieme. Nel 1995, si sarebbero divise otto piatti pieni. Oggi, solo sette di quei piatti vengono condivisi; gli altri sono impilati in un angolo, etichettati “profitti”.
Sì, nel 2024 c’è stato un piccolo aumento dello 0,1% nella quota destinata al lavoro, dovuto principalmente al fatto che i salari sono cresciuti leggermente più dei profitti aziendali. Ma non illudiamoci: quella è meteorologia. Il clima, invece, è erosione.
Cos’è davvero l’Aiq?
L’Aiq non è solo una metrica. È un bilancio morale.
Ci dice chi partecipa alla creazione della ricchezza e chi ne beneficia. Combina:
- Reddito da lavoro (stipendi + reddito degli autonomi)
- Profitti operativi (eccedenze aziendali)
Poi chiede: quanta parte del totale va al lavoro?
Se quel numero scende, non significa automaticamente sfruttamento, ma spesso segnala squilibrio. Potrebbe riflettere automazione, accumulo di capitale, delocalizzazione o logiche da rendita. Ma riflette sempre, sempre, uno spostamento di potere.
E quando il potere si sposta in modo invisibile, il rischio si accumula in silenzio.
Quali settori hanno dato di più al lavoro?
Guardiamo oltre la media nazionale. Perché le medie nascondono le zone di tensione.
Ecco dove la quota destinata al lavoro è cresciuta nel 2024:
- Aziende energetiche: dal 37,2% al 51,7%
- Industria: salita al 62,6%
- Agricoltura, silvicoltura e pesca: un lieve aumento fino al 77,1%
- Noleggio e servizi alle imprese: in lieve aumento al 71,2%
Le aziende energetiche sono un caso emblematico. I loro profitti sono crollati a causa del calo dei prezzi, ma hanno continuato a pagare bene i lavoratori, e quindi la quota di lavoro è schizzata in alto. Non è generosità: è un raro allineamento tra compressione commerciale e compensazione sociale.
Chi ha invece spostato di più verso il capitale?
Nel frattempo, la quota destinata al lavoro è diminuita in settori come:
- Gestione acqua e rifiuti: crollata dal 71,6% al 65,6%
- Costruzioni: dal 77,7% al 75,8%
- Servizi specialistici alle imprese: scesi al 74,9%
- Ospitalità: dal 84,7% all’82,9%
Nel settore dei rifiuti, i profitti sono aumentati di 4,4 miliardi di euro, mentre il reddito da lavoro è salito di appena 0,2 miliardi. Qui l’Aiq non è solo in caduta: è sepolta.
Non ci sono “cattivi”. Ci sono segnali. Ogni settore balla secondo il proprio ritmo strutturale. Alcuni ottimizzano i margini grazie alle macchine. Altri comprimono i costi per sopravvivere. Ma in tutti dobbiamo chiederci: il valore del lavoro umano è ancora riconosciuto nella sua ricompensa?
Il paradosso del commercio: disuguali dentro l’uguale
Anche all’interno dello stesso settore, il commercio, la storia si frammenta:
Sottosettore del commercio | Aiq 2024 | Aiq 1995 |
---|---|---|
Commercio al dettaglio (non auto) | 70.9% | 84.7% |
Commercio e riparazione auto | 72.0% | 82.4% |
Commercio all’ingrosso e mediazione | 55.2% | 72.2% |
Il commercio all’ingrosso è diventato un gioco ad alto capitale e a bassi margini. Il retail si basa ancora sugli esseri umani. Eppure, tutti e tre i sottosettori hanno visto un calo. Dal 1995 al 2024, il commercio al dettaglio ha perso 13,8 punti percentuali nella quota di lavoro.
Non è un dibattito tra robot e persone. È una questione di come valutiamo il contributo umano in ecosistemi sempre più efficienti.
Comprendere, non indignarsi
Il calo dell’Aiq non è un crimine. Ma è un indizio. Un indizio che:
- L’efficienza potrebbe star scavalcando l’equità.
- I profitti potrebbero concentrarsi senza scrutinio.
- E il capitale umano potrebbe lavorare, senza vedere la ricompensa.
Per gli imprenditori, questo non dovrebbe generare senso di colpa, ma chiamare in causa la governance. Se la tua azienda genera profitti mentre la quota destinata al lavoro cala, chiediti: è sostenibile? È giusto? È intelligente?
Perché ciò che viene tolto in silenzio spesso riceve risposta ad alta voce: con scioperi, disimpegno, burnout o sfiducia sociale.
Pensiero finale: la tavola va apparecchiata di nuovo
Se l’imprenditoria è il motore dell’economia di mercato, il lavoro è la trazione.
Non si scala un’azienda solo con i fogli Excel. Dietro ogni margine c’è un meccanico, una mente o un gesto di servizio. L’Aiq ci ricorda che, quando creiamo ricchezza, dobbiamo anche condividerne la direzione, non solo gli avanzi.
Che questo +0,1% sia una pausa, non una pacca sulla spalla.
La vera sfida non è ritoccare gli indicatori, ma riallineare chi lavora e chi vince.
Co-Creator of Xtroverso | Head of Global GRC @ Zentriq
Paolo Maria Pavan è la mente strutturale dietro Xtroverso, che unisce l'acume nella conformità con la lungimiranza imprenditoriale. Osserva i mercati non come un trader, ma come un lettore di schemi, tracciando comportamenti, rischi e distorsioni per guidare la trasformazione etica. Il suo lavoro sfida le convenzioni e riformula la governance come una forza per la chiarezza, la fiducia e l'evoluzione.